Il Museo Nazionale del Cinema presenta al Cinema Massimo Fino alla fine del mondo. Il cinema di Béla Tarr
Il Museo Nazionale del Cinema rende omaggio, da sabato 21 a martedì 31 gennaio, a Béla Tarr – maestro ungherese considerato tra i cinque migliori registi contemporanei al mondo – con una retrospettiva dal titolo Fino alla fine del mondo. Il cinema di Béla Tarr.
La retrospettiva Fino alla fine del mondo. Il cinema di Béla Tarr è un progetto del Museo Nazionale del Cinema realizzato grazie al sostegno di Movies Inspired che ha acquisito i diritti per l’Italia dei film proposti in rassegna.
Regista e sceneggiatore ungherese, Béla Tarr (Pécs 1955) è considerato uno dei più importanti cineasti contemporanei. Autore di scelte spesso radicali come nel caso del film Sátántangó – composto da sole 150 inquadrature per una durata di oltre sette ore – Tarr pratica un cinema-tempo che va contro ogni forma di narrazione (e di montaggio) manipolatoria, affidandosi a una messa in scena impeccabile e a una fotografia lirica, poetica e avvolgente. Il crudo, ma a tratti visionario, realismo del bianco e nero e il persistente intreccio di suoni e musica che spesso accompagnano le immagini riescono, ogni volta, a far sì che lo spettatore si interroghi tanto sulla lingua del cinema quanto sulla decadenza di una civiltà inquadrata nei suoi più minimi dettagli. L’autore ungherese ci mostra la sua visione del mondo, luogo cupo e disperato dove la vita è un nulla che si ripete. La sua macchina da presa segue lentamente i personaggi sulla scena fino a impigrirsi smettendo di pedinarli e osservando i loro movimenti sempre più da lontano, sempre più immobile forse trascinata anch'essa nell'inerzia.
Fino alla fine del mondo. Il cinema di Béla Tarr
di Paolo Vecchi
“Posso nominare alcuni artisti che amo… Kurosawa, soprattutto i film vecchi, Ozu. Alcuni film di Tarkovskij. Alcuni di Fassbinder. Per quanto riguarda gli ungheresi… sono cresciuto vedendo i film di Jancsó, da ragazzo li vedevo al cinema, molte e molte volte. Naturalmente questi artisti mi influenzano nel momento stesso in cui io cerco di “negarli”.
Così Béla Tarr, ventitre anni fa, intervistato da Alberto Crespi a proposito di Kárhozat (Perdizione, 1987), cioè quello che da molti è considerato il film di svolta nel suo iter artistico. In effetti, volendo correre tutti i rischi connessi alla periodizzazione, si potrebbe avanzare l’ipotesi che esso rappresenti il primo movimento di quella che, assieme a Sátántangó (1991-94) e Werckmeister harmoniak (Le armonie di Werckmeister, 1996-2000) costituisce una preziosa trilogia. Tre titoli per i quali non è iperbolico usare l’appellativo di capolavori, cui hanno fatto seguito, con esiti differenti ma in assoluta coerenza, A Londoni férfi (L’uomo di Londra, 2007), dal romanzo omonimo di Simenon, e A Torinói ló (Il cavallo di Torino, 2010), che trae spunto da un episodio della vita di Nietzsche. Si potrebbe anzi arrischiare che la figura autoriale in senso pieno di Tarr inizi proprio da Kárhozat: per la formazione di una compatta factory, della quale fanno parte lo scrittore e sceneggiatore László Krasznahorkai, il direttore della fotografia Gábor Medvigy e il musicista Mihály Vig, oltreché la editor Ágnes Hranitzky, da sempre considerata a tutti gli effetti coautrice; per la scelta decisa in favore del bianco e nero; per la maturazione di una cifra stilistica riconoscibile, fondata essenzialmente sulla dilatazione dei tempi e sulla sinuosità del piano sequenza; per la definizione di un epos magmatico e disperato, in cui la condizione di ogni singolo individuo finisce sempre più per assumere caratteri assoluti, presentandosi come una delle possibili varianti della tragedia esistenziale del genere umano.
Ma già i primi quattro lungometraggi ci consegnano un autore a pieno titolo, con una sua poetica e un suo linguaggio, tasselli imprescindibili per comprenderne gli sviluppi futuri.
Családi tűzfeszék (Nido familiare, 1977) nasce nell’ambito del docu-fiction di matrice Béla Balazs Studio, di cui condivide in parte i dettami nell’osservazione di una quotidianità nel suo “farsi”. La mobilità della mdp, l’uso stesso del piano sequenza come forma della realtà, sono complicati da stacchi di montaggio improvvisi, primi piani che sfumano in dissolvenza incrociata, uso insistito del dettaglio.
Sulla stessa falsariga, Panelkapcsolat (Rapporti prefabbricati, 1982) si costruisce sulla ripetitività di situazioni quotidiane che non porta a nessuna soluzione, proprio perché nessuna soluzione appare praticabile. L’uso frequente del primo piano accentua l’idea di una condizione ontologicamente determinata, quasi bergmaniana nell’assolutizzazione dei caratteri umani e dei loro contorcimenti.
In Szabadgyalog (L’outsider, 1979-80) e Öszi almanach (Almanacco d’autunno, 1983-84) Tarr usa il colore, ma lavora sulla progressiva smussatura dei picchi cromatici, sulle tonalità intermedie, quasi a innestare un processo irreversibile in direzione del bianco e nero. L’insistenza sui tempi morti in funzione espressiva, di influenza tarkovskijana, trova nei lenti e lunghi movimenti di macchina un corrispettivo di straordinario impatto, emotivo e insieme razionale. Celebrerà la sua apoteosi tanto nel gesto estremo di Sátántangó come nel meno eccessivo fluire di Wecrkmeister: in una poetica caratterizzata dall’unicità, sostanziata dal rifiuto di tutte le convenzioni narrative, da una rigorosa idea filosofica, del mondo come del cinema. Nell’intervista citata in apertura, d’altronde, era lo stesso regista a definire i suoi lavori come continuum: “Cosa li accomuna? Il fatto che la storia non è importante. Non bisogna mai raccontare le storie nei film. Oggi le storie, nel senso vecchio del termine, non sono più valide, ci ingannano. Ci fanno credere che le storie esistono anche nella vita. Mentre non credo che esistano. Abbiamo sempre tentato di evitare le storie, di parlare di circostanze, umori, stati d’animo, modi. Di film in film, abbiamo cercato di trovare i nessi più cosmici fra i rapporti umani”.
Fino alla fine del mondo. Il cinema di Béla Tarr
CALENDARIO DELLE PROIEZIONI
SAB 21, h. 16.00, MER 25, h. 18.30
Nido familiare (Családi tűzfeszék)
(Ungheria 1979, 108’, b/n, v.o. sott.it.)
La casa dei genitori di Laci, che è sposato con Iren ed è già padre di una bambina, è palesemente sovraffollata, visto che deve ospitare anche il fratello e la sorella di Laci: i due coniugi hanno invano richiesto l’assegnazione di un appartamento che lo Stato, da anni, continua a rinviare a data da destinarsi. Béla Tarr ironizza sulla tradizionale immagine del focolare domestico come luogo di pace e di calore.
Sc.: B. Tarr; Fot.: Ferenc Pap; Int.: Laszlone Horvath, László Horváth, Gábor Kun.
Prima del film, proiezione del cortometraggio Hotel Magnezit (Ungheria 1978, 10’, b/n)
SAB 21, h. 18.15, VEN 27, h. 18.30
The Outsider (Szabadgyalog)
(Ungheria 1981, 122’, col., v.o. sott.it.)
András persegue, coerentemente, un progetto esistenziale basato sulla mancanza di punti di riferimento, infatti continua a bere sul lavoro, anche se ciò gli costa l’impiego come infermiere. Da ragazzino si era fatto cacciare dal conservatorio, nonostante suonare il violino fosse la sua unica vera passione. Da adulto sposerà una donna che è l’amante di suo fratello e, volutamente, la trascurerà per dedicarsi alla musica.
Sc.: B. Tarr; Fot.: Ferenc Papi, Barna Mihók; Int.: András Szabó, Jolan Fodor, Imre Donko.
SAB 21, h. 20.40, MAR 31, h. 16.30
Almanacco d’autunno (Öszi almanach)
(Ungheria 1984, 119’, col., v.o. sott.it.)
In un appartamento dagli arredi sontuosi ma in stato di semiabbandono, vivono Janós, ormai oppresso dai debiti, la madre Hédi, anziana e facoltosa padrona di casa, Anna, l’infermiera di Hédi, che ha invece collezionato amanti senza mai provvedere a smaltire i precedenti, e Miklós, che non è mai riuscito a staccarsi del tutto dai suoi oscuri trascorsi di uomo violento. Un ritratto a colori dell’angoscia di non avere un domani su cui posare lo sguardo.
Sc.: B. Tarr; Fot.: Buda Gulyás, Sándor Kardos; Int.: Hédi Temessy, Erika Bodnár, Miklós Székely B.
DOM 22 e LUN 30, h. 15.30 (I parte), DOM 22 e LUN 30, h. 20.30 (II parte)
Sátántangó
(Ungheria/Germania/Svizzera 1994, 450’, b/n, v.o. sott.it.)
La storia narra del collasso di una fattoria collettiva ai tempi della fine del comunismo in Ungheria. Una dozzina di individui abbruttiti vive una vita senza speranza nell'attesa ansiosa di andarsene da quel posto che considerano miserabile. Intanto arriva al villaggio la voce che Irimiás sta per tornare. Il film è in dodici parti, come il romanzo, che, a sua volta seguiva la scansione del tango.
Il film sarà diviso in due parti di uguale durata.
Sc.: B. Tarr; Fot.: Gábor Medvigy; Int.: Mihály Vig, Putyi Horváth, László Lugossy.
LUN 23, h. 16.00, DOM 29, h. 20.00
Rapporti prefabbricati (Panelkapcsolat)
(Ungheria 1982, 102’, b/n, v.o. sott.it.)
Terzo lungometraggio di Béla Tarr e il primo interpretato da attori professionisti. I due protagonisti, marito e moglie con due bambini, vengono ritratti nella loro quotidianità, mentre sono alle prese con un matrimonio in crisi, tra lei che sogna una famiglia unita e una vita casalinga serena e lui che è incline all’individualismo e coltiva aspirazioni materiali. Il fare li unisce ma il sentire e il pensare li separa e li rende figure solitarie nel silenzio.
Sc.: B. Tarr; Fot.: Ferenc Papi, Barna Mihók Int.: Judit Pogány, Róbert Koltai, Kyri Ambrus.
Prima del film proiezione del cortometraggio Utazáa az Alföldön/Journey on the Plain (Ungheria 1995, 35’, col., v.o. sott. it.)
LUN 23, h. 18.30, DOM 29, h. 22.30
Dannazione (Kárhozat)
(Ungheria 1988, 120’, b/n, v.o. sott.it.)
Karrer è un uomo depresso, innamorato della cantante del bar Titanik. La donna interrompe il suo contratto di lavoro perché sogna di diventare famosa. A Karrer viene offerto un lavoro di contrabbando da parte di Willarsky, il cameriere del Titanik. Karrer ha un piano per mettere fuori gioco il marito della donna, Sebastyen, ma le cose vanno diversamente. Alla fine Karrer sparisce.
Sc.: B. Tarr, László Krasznahorkai; Fot.: Gábor Medvigy; Int.: Miklos B. Szekely, Vali Kerekes, Gyula Pauer.
LUN 23, h. 20.45, SAB 28, h. 16.00
Ágnes Hranitzky, Béla Tarr
Il cavallo di Torino (A Torinói ló)
(Ungheria/Francia/Germania/Svizzera 2011, 146’, b/n, v.o. sott.it.)
Ispirato a un episodio che ha segnato la fine della carriera del filosofo Friedrich Nietzsche. Il 3 gennaio 1889, in piazza Carlo Alberto a Torino, Nietzsche si gettò, piangendo, al collo di un cavallo brutalizzato dal suo cocchiere e poi perse conoscenza. Dopo questo episodio il filosofo non scrisse più e sprofondò nella follia e nel mutismo. Il film, però, si sofferma sulla storia del cocchiere, di sua figlia e del cavallo, in un'atmosfera di grande povertà che anticipa la fine del mondo.
Sc.: László Krasznahorkai, B. Tarr; Fot.: Fred Kelemen; Int.: Janós Derzsi, Erika Bók, Mihály Kormos.
MAR 24,. H. 16.30, SAB 28, h. 20.30
Le armonie di Werckmeister (Werckmeister armonia)
(Ungheria/Italia/Germania/Francia 2001, 145’, b/n, v.o. sott.it.)
In un piccolo villaggio della pianura ungherese, alla vigilia di un'eclisse di sole, fa la sua comparsa un circo costituito esclusivamente da due attrazioni: un principe e una balena. Tutta la vicenda è vista attraverso gli occhi del giovane postino Jonas. Il paesino, segnato da lotte intestine e presagi di guerra, si fa presto coinvolgere dalla dialettica del principe (che non si vede mai pur intuendone una fisionomia deforme) e si appresta a un massacro di innocenti.
Sc.: L. Krasznahorkai; Fot.: Patrick de Ranter, Miklós Gurbán; Int.: Lars Rudolph, Peter Fitz, Hanna Schygulla.
MAR 24, h. 19.15, SAB 28, h. 18.45
Macbeth
(Ungheria 1982, 72’, col., v.o. sott.it.)
Un film commissionato a Béla Tarr dalla televisione ungherese e basato sul dramma di Shakespeare. A renderlo unico il fatto che tutto il film, girato con una povera videocamera analogica, è composto di sole due inquadrature, due piani sequenza rispettivamente di 5 e di 62 minuti. Non un gioco di stile, però, ma un vero dramma trattenuto nel divenire inafferrabile del tempo.
Sc.: B. Tarr, dal dramma di William Shakespeare; Fot.: Ferenc Papp, B. Gulyás; Int.: György Cserhalmi, Erzsébet Kútvölgyi, Ferenc Bencze.
VEN 27, h. 20.45, DOM 29, h. 16.30
L’uomo di Londra (A Londoni férfi)
(Ungheria/Francia/Germania 2007, 139’, b/n, v.o. sott.it.)
Mainon conduce una vita semplice e priva di prospettive ai bordi del mare. Quasi non si accorge della realtà che lo circonda e ha ormai accettato la solitudine in cui è immerso. Finché un giorno diviene testimone di un omicidio. La sua vita subisce uno sconvolgimento. È costretto a chiedersi cosa separi il bene dal male e quale sia la sottile linea che divide l'innocenza dalla complicità.
Sc.: B. Tarr, L. Krasznahorkai, dal romanzo di Georges Simenon; Fot.: Fred Kelemen; Int.: Erika Bók, István Lénárt, János Derzsi.