Il Museo Nazionale del Cinema presenta la proiezione del nuovo restauro in digitale 2K de Il Gattopardo di Luchino Visconti

Cinema Massimo – 24 marzo 2011, ore 20.30

In occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, il Museo Nazionale del Cinema presenta giovedì 24 marzo 2011, alle ore 20.30 al Cinema Massimo, sala Uno, il nuovo restauro in digitale 2K de Il Gattopardo di Luchino Visconti, un lavoro particolarmente accurato che si è avvalso della supervisione del direttore della fotografia Giuseppe Rotunno. Ingresso euro 7,00/5,00/3,50.

Il Gattopardo è stato restaurato da Cineteca del Comune di Bologna, Laboratorio L’Immagine Ritrovata, The Film Fountation, Pathé, Fondation Jérome Seydoux-Pathé, Twentieth Century Fox e Centro Sperimentale di Cinematografia-Cineteca Nazionale. Il sostegno di Gucci e di The Film Foundation. Il restauro dell’immagine è stato eseguito da Digital Picture Restoration, Colorworks, il restauro del suono da Sound laboratory services, L’immagine Ritrovata. Un ringraziamento particolare a Martin Scorsese, Titanus e Giuseppe Rotunno.

 

Luchino Visconti

Il Gattopardo

(Italia, 1963, 185’, col.)

“Dall'alto della propria villa, la famiglia nobiliare dei Corbera accoglie con preoccupazione la notizia dello sbarco delle truppe garibaldine in Sicilia per rovesciare il regno borbonico e avviare il processo di unificazione dell'Italia. Il capofamiglia Fabrizio, principe di Salina, sfruttando la propria intelligenza politica e l'attivismo dell'ambizioso nipote Tancredi Falconeri fra le file delle camicie rosse, comprende che i tempi stanno cambiando e che il potere politico e istituzionale è ormai in mano ad una nuova classe di ricchi borghesi. Per adattarsi al tramonto dell'aristocrazia e difendere il prestigio della propria casata, il principe decide così di attendere la presa di Palermo da parte dei garibaldini, appoggiare apertamente l'annessione all'Italia ed accettare le nozze fra l'adorato Tancredi e la bella figlia di un sindaco ricco e incolto, perché ‘affinché niente cambi, bisogna che tutto cambi’. Palma d'oro per il miglior film al 16º Festival di Cannes.

Un film di Luchino Visconti. Con Burt Lancaster, Alain Delon, Claudia Cardinale, Paolo Stoppa, Rina Morelli.

 

A complemento del Gattopardo restaurato, il 6 aprile 2011 verrà inoltre presentato il documentario di Giuseppe Tornatore L’ultimo Gattopardo; ritratto di Goffredo Lombardo. Una straordinaria combinazione di sequenze tratte dai film prodotti dalla Titanus, di testimonianze d’epoca e di interviste ai protagonisti di una stagione indimenticabile del nostro cinema.

 

Il Gattopardo secondo Martin Scorsese

 

Quando il mondo attorno a te sta cambiando, quando hai la sensazione che tutto quello che conosci e che ami deve dar vita ad un nuovo ordine, cosa fai? Lo accetti o lo respingi? E come lo accetti? Con riluttanza? Con gratitudine? Forse entrambe le cose. Perché, chi può lasciarsi alle spalle il mondo che è stato senza piangere il tempo che passa? Queste domande, queste sensazioni sono fondamentali per la condizione umana e stanno dietro ad ogni fotogramma de Il Gattopardo, il magnifico adattamento realizzato da Luchino Visconti del romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, la storia di un principe siciliano all’epoca del Risorgimento, che si rende conto dell’inevitabile prossima scomparsa del suo ruolo storico e di quello della sua classe sociale.

Visconti, che faceva parte di una delle più antiche famiglie aristocratiche d’Europa, tentò per molti anni di adattare Proust per il grande schermo. In un certo senso ci è riuscito con questo straordinario affresco cinematografico, dove ogni gesto, ogni parola e la collocazione di ogni oggetto in ogni singola stanza riporta in vita un mondo perduto […] Il film di Visconti è una delle più grandi esperienze visive del cinema e, nel corso degli anni ci si è resi conto che restaurarlo era estremamente difficile. Sono molto felice che The Film Foundation, con il sostegno economico di Gucci, abbia reso possibile questo straordinario restauro. Uno dei nostri più preziosi tesori ci è stato restituito in tutta la sua gloria.

 

Martin Scorsese, Fondatore e Presidente di The Film Foundation

 

 

Il Gattopardo restaurato: un’esperienza sensoriale

di Gian Luca Farinelli*

 

Nel 1957, poco dopo la morte di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, viene pubblicato Il Gattopardo, uno dei più sorprendenti casi letterari del Novecento: unico romanzo del suo autore, un nobile palermitano, che nel raccontare la vita del Principe Salina, trae ispirazione dalla storia della propria famiglia. Il milanese Luchino Visconti, erede di una delle più blasonate famiglie nobiliari italiane, che hanno fondato la grandezza di Milano, s’innamora del romanzo e accetta la proposta del produttore, Gustavo Lombardo, di trarne un film restando fedele allo spirito del libro. Visconti, che si confronta con un mondo di cui conosce, intimamente, le pieghe più profonde, non si limiterà a ricostruire divenendo - durante le riprese - il principe del set. Persino Lombardo avrà difficoltà ad accedere ai luoghi nei quali si gira!

Tutti gli eccessi che si raccontano sulle riprese sono veri, per la scena del ballo, quintali di fiori freschi spediti giornalmente da Sanremo, candele vere sul lampadario, sostituite ogni ora, vasellame d’oro e d’argento prestato dalla nobiltà palermitana, per le scene di combattimento, ogni singola comparsa selezionata da Visconti e fatta venire da diverse regioni d’Italia, secondo il tipo morfologico (garibaldini, sabaudi, borbonici) degli eserciti che si contrappongono, centinaia di giubbe dei garibaldini stinte una ad una da Piero Tosi utilizzando foglie di thé…

Il risultato è un’opera tattile, olfattiva, che coinvolge tutti i sensi, nessun film ricostruirà così concretamente l’aria dell’Ottocento; non solo i muri e le suppellettili, anche le ore del giorno, la luce, i colori, la penombra della Sicilia, il calore ardente, la ricerca della frescura, la polvere che copre i nobili che si sono inerpicati sino a Donnafugata, le stoffe, gli interni delle carrozze, il clergimen sudicio del prelato, la mobilia, ogni singola inquadratura della festa danzante che occupa un terzo del film e  non vuole mai terminare, come il mondo che Visconti ritrae, per l’ultima volta, sulla soglia della scomparsa, alla ricerca del tempo perduto nel film più vicino a Proust che mai sia stato realizzato. A compiere questo miracolo partecipa una squadra di fuoriclasse, temprata da mille battaglie viscontiane, lo scenografo Mario Garbuglia, il costumista Piero Tosi, gli arredatori Giorgio Pes e la principessa Laudomia Hercolani, ma anche un gran numero di aristocratici palermitani che interpretarono loro stessi nelle sequenze del ballo e prestarono molti oggetti di scena.

Il Gattopardo è l’opera nella quale Visconti sfida l’impossibile, scegliendo di ricostruire l’assoluto realistico di eventi accaduti cento anni prima; l’operazione è talmente perfetta che, anche i molti echi della pittura ottocentesca, Delacroix e Fattori per le battaglie, Manet, Monet e i Macchiaioli, per le rappresentazioni della vita ottocentesca, Signorini, per gli scorci urbani e le case miserabili, Hayez e Boldini, per i ritratti, non hanno nulla della citazione, anzi sembra quasi che quella pittura si sia ispirata alla realtà che vediamo ora riflessa sullo schermo. I quadri alle pareti delle dimore sono in un dialogo vivo con i protagonisti e il Principe Salina, durante una pausa del ballo, guardando una copia del più noto dipinto di Jean-Baptiste Greuze Il figlio punito, che nel romanzo diventa La morte del giusto, invocherà per la prima volta la morte e probabilmente immaginerà il prossimo distacco dal giovane Tancredi.

L’affresco corale di Tomasi di Lampedusa, che descrive con compassione, nobili, borghesi ed umili, prende vita nel film eccessivo immaginato da Visconti, girato in Technirama, un formato che assicura un fotogramma con una definizione doppia, rispetto al 35mm, e una bellezza visiva che ha qualcosa di scioccante, di tridimensionale. Nella luce della Sicilia e dei riflettori governati sapientemente da Giuseppe Rotunno, si muovono protagonisti e comprimari, che fanno parte di un cast che riserva molte sorprese, in cui convivono varie generazioni e tipologie d’attori americani francesi e italiani, tutti al loro apogeo. Claudia Cardinale, magnetica, sensuale, dirà, “Visconti mi ha addestrata a essere bella…, Avevo sguardi vaghi, rapidi: mi ha obbligato a precisarli, a posarli a lungo, a tenerli… Mi ha scolpito l’occhio”. Alain Delon attraversa con piglio (da marcia su Roma?) il film e la storia; è giovane, affascinante, intuisce per primo le mosse necessarie alla salvezza - temporanea - del suo mondo, ma la sua vacuità ne fa una preda destinata – in un futuro non troppo lontano - a essere sopraffatta. Lancaster, nato ad Harlem, di origini irlandesi, deposto il suo passato di star hollywoodiana, veste, con elegante autorevolezza ed intima emozione, i panni dell’ultimo Gattopardo. Alcuni attori, prediletti da Visconti, Romolo Valli, perfetto Don Pirrone, maestro nel dire non dire, Rina Morelli, alter ego impossibile, del marito, il Principe Salina, Paolo Stoppa, l’odioso Don Calogero Sedara, il nuovo che avanza, un ceto borghese facoltoso, attivo in politica, privo di ogni grandezza, fuori posto nelle feste, goffo nei suoi frack affittati.

Mirabile esempio della follia creativa del cinema d’autore italiano, tranne i tre attori “teatrali” di Visconti (Stoppa, Morelli e Valli), nessuno recita con la propria voce, nemmeno Claudia Cardinale e Terence Hill.

Attaccato da sinistra per la partecipazione interiore al mondo aristocratico, da destra per la critica all'arrembante borghesia italiana, il Cardinale di Palermo Ernesto Ruffini dichiarò, nel 1964, che tre “cose” avevano contribuito a disonorare la Sicilia: la mafia, Danilo Dolci e Il Gattopardo. Lo premierà Cannes e sarà il film più popolare di Visconti.

La Dolce vita e Il Gattopardo, così distanti, così vicini, realizzati a tre anni di distanza, appartengono alla stessa epoca gloriosa del cinema italiano, nella quale figure di produttori, come Rizzoli, Amato, Lombardo (ma si potrebbero aggiungere, Grimaldi, Cristaldi, De Laurentiis, …), osavano misurarsi con un cinema d’autore ambizioso, costoso, capace di sperimentare linguaggi nuovi, al quale non lesinavano finanziamenti e per il quale trovavano compagni di avventure produttive, soprattutto in Francia (entrambi i film furono coprodotti da Pathé).

Entrambi i film iniziano con sequenze potentemente simboliche. L’arrivo dell’elicottero che trasporta il Cristo e che sorvola, seguito da quello dei paparazzi, la Roma della classicità, ma anche quella del cemento che divora nuovi quartieri e delle nuove classi che si stanno affermando. La struggente bellezza di Palazzo Salina (in realtà villa Boscogrande), nella luce di maggio, in un pomeriggio inoltrato, immerso in verdissimi agrumeti, con il suo cancello, le sue statue immutabili. All’interno, la nobile famiglia Salina e il Principe Don Fabrizio stanno pregando, ma voci, insistenti e fastidiose, giungono dall’esterno. È la storia che bussa alla porta dell’antica famiglia. I garibaldini sono alle porte di Palermo, nell’agrumeto giace il corpo di un soldato borbonico ucciso. Visconti arretra le lancette di sei anni, rispetto agli eventi narrati in Senso. Ma anche qui racconta di una rivoluzione tradita, mancata. Nelle tre ore del film, molti sono gli avvenimenti, ma, apparentemente, non accade nulla. Qui non c’è - come in Senso - la rotta dell’esercito italiano a Custoza e il tradimento di Alida Valli/Livia Serpieri, ma c’è la sconfitta degli ideali risorgimentali, il ‘falso’ plebiscito e l’incapacità del nuovo Stato di capire e modificare le ingiustizie che attanagliano – profondamente - la Sicilia. Nella sua prima scena Delon/Tancredi, appare riflesso nello specchio dove Lancaster/Principe Salina si sta sbarbando, l’identità trai due - in quel preciso momento - pare totale. Dirà in quel primo colloquio “Se vogliamo che rimanga come è, bisogna che tutto cambi”. Il Principe affermerà un’ora dopo, “Qualche piccola cosa doveva pure cambiare, perché tutto restasse com’era”.

Se La dolce vita narra di una società in movimento, in profonda trasformazione, Il Gattopardo narra di una classe capace di rimanere immobile, di sopravvivere, identica, perfino dopo la caduta del proprio Regno.

Il Gattopardo, come La dolce vita, avrebbero cambiato il modo di concepire il cinema, segnando uno spartiacque per ogni cineasta, a cominciare da Visconti e Fellini. Se La dolce vita mostrava, per la prima volta, la messa in scena e la mediatizzazione della realtà, Il Gattopardo, portava sullo schermo, come mai prima, la storia, il passato, le radici di un popolo e della sua storia. Dal Gattopardo in avanti, nessun film storico, nessuna scena di battaglia, di opulenza, di ballo, potrà non misurarsi con quel modello di perfezione.

Per Visconti iniziava una nuova fase, verso un cinema ancora più intimo e personale.

 

*Direttore Cineteca del Comune di Bologna